Il saggio riflette sui due opposti modelli di città: quello della smart city, perfetto ed efficace, quanto omologato e omogeneo nel contesto internazionale; e quello della città informale e ordinaria, caratterizzata da usi informali dello spazio urbano. Da un lato la città smart, che nella sua declinazione parossistica di glossy landscape (paesaggio patinato) corre il rischio di diventare un modello di marketing esportabile in ogni situazione, proponendo soluzioni progettuali astratte rispetto al contesto urbano e strategie di pianificazione scollegate rispetto alle realtà socio-economiche. Dall'altro la città informale, che si auto-organizza attraverso usi spontanei degli spazi, seguendo istanze dal basso e rispondendo a bisogni contingenti in maniera adattativa. Da un lato il modello della metropoli occidentale, nella quale la creazione di luoghi stra-ordinari dove assistere ad esperienze spettacolari, può portare ad una eccessiva formalizzazione dello spazio, dove gli usi assumono un carattere quasi prescrittivo; dall'altro lo spazio urbano informale, che presenta condizioni di imprevedibilità dovute alla flessibilità d’uso e alla spontaneità delle configurazioni spaziali che i luoghi possono assumere con la presenza delle persone alle diverse ore del giorno. Si prendono ad esempio alcuni casi, quali quello dei parchi urbani di Quito in Ecuador, i marcati ambulanti a Città del Messico e i barrios di Bogotà. Si conclude con una riflessione sul ruolo del progetto e sulle pratiche formali e informali necessarie a conformare spazi, creare luoghi, ma soprattutto a coinvolgere la gente.
Paesaggi futuri. Tra glossy landscapes e usi informali dello spazio pubblico / Clemente, Matteo. - STAMPA. - (2018), pp. 265-270.
Paesaggi futuri. Tra glossy landscapes e usi informali dello spazio pubblico
Clemente Matteo
2018
Abstract
Il saggio riflette sui due opposti modelli di città: quello della smart city, perfetto ed efficace, quanto omologato e omogeneo nel contesto internazionale; e quello della città informale e ordinaria, caratterizzata da usi informali dello spazio urbano. Da un lato la città smart, che nella sua declinazione parossistica di glossy landscape (paesaggio patinato) corre il rischio di diventare un modello di marketing esportabile in ogni situazione, proponendo soluzioni progettuali astratte rispetto al contesto urbano e strategie di pianificazione scollegate rispetto alle realtà socio-economiche. Dall'altro la città informale, che si auto-organizza attraverso usi spontanei degli spazi, seguendo istanze dal basso e rispondendo a bisogni contingenti in maniera adattativa. Da un lato il modello della metropoli occidentale, nella quale la creazione di luoghi stra-ordinari dove assistere ad esperienze spettacolari, può portare ad una eccessiva formalizzazione dello spazio, dove gli usi assumono un carattere quasi prescrittivo; dall'altro lo spazio urbano informale, che presenta condizioni di imprevedibilità dovute alla flessibilità d’uso e alla spontaneità delle configurazioni spaziali che i luoghi possono assumere con la presenza delle persone alle diverse ore del giorno. Si prendono ad esempio alcuni casi, quali quello dei parchi urbani di Quito in Ecuador, i marcati ambulanti a Città del Messico e i barrios di Bogotà. Si conclude con una riflessione sul ruolo del progetto e sulle pratiche formali e informali necessarie a conformare spazi, creare luoghi, ma soprattutto a coinvolgere la gente.File | Dimensione | Formato | |
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